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20 dic 2019

La scelta estrema de “La cena delle belve” al Teatro del Popolo di Colle Val d’Elsa

La scelta estrema de “La cena delle belve” al Teatro del Popolo di Colle Val d’Elsa

Autore: Simone Migliorini / venerdì 20 dicembre 2019 / Categorie: Attualità, Teatro, Italia, Toscana / Vota questo articolo:
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Non tragga in inganno il fatto che per il titolo, La cena delle belve (Le Repas des fauves), si sia scelta una traduzione che fa da parafrasi al noto dramma di Sem Benelli, con il quale, invece, non ha nulla da spartire: questo è uno spettacolo di ironica ferocia che indaga nell'animo umano dove già il calembour del titolo denuncia, seppure inaspettatamente, l'humor (nero) che permea tutto lo svolgersi del dramma, a differenza de Il Pasto delle belve scelto come titolo del film del 1964 con la regia di Christian Jaques, tratto dalla pièce teatrale del poliedrico scrittore armeno-francese Vahé Katcha Khatchadourian. Lo spettacolo, prodotto da Gianluca Ramazzotti per Ginevra Media Production, Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano, è andato in scena al Teatro del Popolo di Colle Val d’Elsa con la regia di Julien Sibre e Virginia Acqua (su elaborazione drammaturgica di Julien Sibre e di Vincenzo Cerami nella versione italiana). Un successo dovuto anche ad un cast di ottimo livello con Marianella Bargilli, Emanuele Cerman, Alessandro D’Ambrosi, Maurizio Donadoni, Carlo Lizzani, Ralph Palka, Gianluca Ramazzotti, Silvia Siravo, e all’efficace allestimento, con le scene di Carlo De Martino, le luci di Giuseppe Filipponio e i costumi di Francesco Brunori.
La vicenda è quella di un gruppo di amici che si trova di fronte ad una scelta estrema. Dovranno, infatti, decidere chi di loro sacrificherà la propria vita per salvare quella degli altri. Da questa contingenza si sprigiona un istinto primordiale di sopravvivenza ed esplode una ferocia che nell'uomo si rivela essere, forse, perfino peggiore di quella di un animale quando è costretto a vivere in cattività, perché comunque, essa non viene generata soltanto dalla reazione fisica ma anche da quella intellettuale, dalla ragione che può arrivare ad essere, come sosteneva Albert Camus, più feroce dell'aggressività fisica. Si rivelano, all'interno del gruppo, le meschinità che ognuno di loro (di noi?) porta nel cuore: la paura, la codardia, un Carnage, come la definirebbe un'altra scrittrice francese, Yasmina Reza, che ci farà riflettere sul grado di autenticità dei rapporti di amicizia, di amore, inducendoci anche a riflettere se, in realtà, le relazioni che intrecciamo sono il risultato di un sentimento egoistico, di una necessità di immagine sociale e di rassicurazione psicologica, di un non voler essere o rimanere soli come in realtà ognuno di noi è, con i propri inconfessabili segreti, con le proprie ambizioni e i propri fantasmi.
Appare quasi come una fiaba contemporanea dove il ruolo dell’Orco è assunto da un comandante della Gestapo, ambientata con una distanza temporale che permette un sufficiente distacco, un'adeguata lontananza dai fatti per non sentirsene troppo investiti, consentendo anche una mitizzazione verosimile ma non realistica, come la geniale trovata delle proiezione dei disegni animati utilizzati per raccontate in scena, le scene efferate al di fuori di essa, al “modo antico”, ovvero mai palesi, raccontate, immaginate e quindi ancor più terrifiche, sicuramente meno banali di quanto sarebbero state in una loro rappresentazione esplicitamente realistica.
La messa in scena è resa alla maniera del vaudeville, con ritmi e azioni ben serrati e "ad orologeria", come si diceva di quelle di Georges Feydeau. Del vaudeville, però, non c'è il mero divertissement della pièce bien fait, ma la tecnica e i tempi, anche comici, per narrare una tragedia psicologica, (con una latente matrice shakespeariana) e per intingere di giallo, di suspense, il bel lavoro che tiene gli spettatori svegli e incollati alla sedia come e quanto non capita più tanto spesso in teatro. Ti trovi a ridere chiedendoti perché si debba ridere di tanta miseria umana; ti trovi a chiederti cosa faresti in quella situazione, e come essa potrebbe cambiare la tua vita se ci capitassi in mezzo... Si crea una empatia con tutti i personaggi perché il carattere di ognuno di loro rispecchia piccole parti del carattere di ciascuno di noi.
La Compagnia è animata da un grande affiatamento, dalla sincera gioiosità che nasce dalla percezione che lo “spettacolo funziona” e che i ruoli sono ben ripartiti tra i singoli “talenti”, in un’atmosfera un po’ d’altri tempi...
Viene da pensare, andando oltre lo spettacolo, a cosa accadrebbe se la Gestapo capitasse realmente in mezzo ai personaggi/interpreti, magari durante una cena dopo la recita. Assisteremmo allora ad una scena di teatro nel teatro, in cui realtà e finzione si mescolano. Come si comporterebbe ognuno di loro di fronte alle medesime richieste...?! Fossi io a dover scegliere chi risparmiare non saprei che parametri usare, se uno di questi fosse la bravura, la scelta sarebbe davvero difficile, dovrei, giocoforza, affidarmi, alla beltà e alla galanteria. Ricadrei, così, inevitabilmente su Sophie e Francoise. Sono sicuro che mi perdonerete e che gli altri capiranno.

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